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Dulcis in fundo: il pangiallo romano

“Romano de Roma”

Di romani doc non è così facile trovarne: ci sarà sempre almeno un lontano parente proveniente da un’altra regione italiana o persino da un altro Paese. Nel caso del pangiallo il discorso però è diverso. Non è una di quelle ricette d’importazione adottate dalla cucina della città ma è proprio “romano di Roma”, e da molto più delle proverbiali sette generazioni. Per scoprire le sue radici, bisogna infatti andare indietro nel tempo fino alla Roma imperiale e sfogliare il “De re coquinaria”, la raccolta di ricette del famoso gastronomo Apicio. Che, nel capitolo dedicato ai dolci “facilmente realizzabili in casa”, così consigliava: “Mescola nel miele pepato del vino puro, uva passita e della ruta. Unisci a questi ingredienti pinoli, noci e farina d’orzo. Aggiungi le noci raccolte nella città di Avella, tostate e sminuzzate, poi servi in tavola”.

Il sole in tavola

Per chi non lo conoscesse, il pangiallo è ancora oggi un trionfo di miele e frutta secca, con una glassa di colore giallo a ricoprire il tutto. Un “pane” dorato e rotondo come il sole, da donare con l’auspicio che i lunghi mesi d’inverno si esauriscano in fretta. Alla sua straordinaria bontà e alla sua dolcezza avvolgente unisce infatti il fascino della leggenda e degli antichi rituali: si dice che nella Roma antica si fosse diffusa l’usanza di prepararlo e regalarlo in occasione del “Dies natalis Solis invicti”, la festa pagana dedicata per l’appunto al sole e istituita dall’imperatore Aureliano il 25 dicembre, nei giorni immediatamente successivi al solstizio d’inverno – la giornata con la notte più lunga dell’anno, dopo la quale le ore di luce tornano gradualmente ad allungarsi. La festa celebrava quindi la rinascita del nuovo sole e la parte esterna del dolce portava in casa una luce intensa che simboleggiava la speranza.

Prima di panettone e pandoro

Passarono i secoli ma il filo della tradizione non si spezzò e anzi, con la diffusione del cristianesimo, il pangiallo divenne il dolce natalizio principe di Roma. Nel Medioevo, era tra i doni che le mogli dei contadini facevano ai notabili e ancora agli inizi del Novecento era immancabile sulle tavole imbandite a festa insieme a “li vermicelli co’ l’alice, l’inguilla, er salamone, li bbroccoli, er torone…” (i vermicelli con le alici, l’anguilla marinata, il salmone, i broccoli fritti e il torrone), come ci racconta Giggi Zanazzo in “Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma”. Una usanza estesa a tutti i ceti sociali anche se, al posto della tradizionale frutta secca abbinata al miele e al cedro candito, alcune massaie per risparmiare usavano i noccioli di prugne e albicocche opportunatamente essiccati e conservati. Negli ultimi decenni, il pangiallo ha perso inevitabilmente posizioni nell’immaginario collettivo in favore di pandoro e panettone ma la sua produzione resiste in molti forni e pasticcerie della Capitale, oltre che tra le mura domestiche.  

Un giallo di Natale

Se il suo passato millenario è arrivato intatto fino ai giorni nostri, come spesso capita nella storia della gastronomia sono però tantissime le varianti e le rielaborazioni del pangiallo che possiamo trovare in commercio o nei ricettari, dettate dalla soggettività del gusto e legate almeno in parte alle tradizioni locali o familiari. Alcune ricette prevedono per esempio cioccolato o cacao, pistacchi, cannella, pinoli e anche fichi secchi. Nel Lazio, particolarmente famoso è il pangiallo viterbese che aggiunge agli ingredienti classici il pepe fresco macinato, probabilmente per una contaminazioni di sapori con il famoso panpepato umbro. Anche su come debba essere ottenuto il caratteristico colore giallo esistono versioni contrastanti: c’è chi sostiene che sono sufficienti le spezie contenute nell’impasto, chi lo ricopre con uno strato di pastella d’uovo prima della cottura e chi, infine, lo colora con acqua e zafferano. Quel che è certo è che sarete comunque conquistati dal suo straordinario sapore.

Il pangiallo: la ricetta tradizionale di Ada Boni

Ingredienti
• 1 kg di zibibbo o uva sultanina
• 350 gr di scorza d’arancia candita o cedro
• 200 gr di farina
• 200 gr di pinoli
• 200 gr di mandorle sbucciate e pelate
• 20 gr di lievito di pane
• Spezie in polvere (chiodi di garofano, cannella e noce moscata)
• 4 cucchiai di olio extra vergine di oliva
• Qualche cucchiaio di acqua tiepida
• 1 cucchiaio di zucchero
• 1 cucchiaio di farina
Preparazione
Amalgamate la farina con il lievito di pane e un po’ di acqua tiepida fino a ottenere un impasto molto soffice. Unite poi la scorza di arancia (o cedro) candita e tagliata a cubetti, la frutta secca, le spezie, l’olio e lo zibibbo finché la pasta non si satura di tutti gli ingredienti. Lavorate l’impasto per dargli la forma di una cupolina e infine mettete a riposare per una nottata in un luogo caldo e asciutto. Per la copertura del pangiallo, preparate una pasta non troppo liquida con una cucchiaiata di farina, poco olio, un po’ delle spezie utilizzate nell’impasto e lo zucchero. Quando il dolce sarà lievitato, colategliela sopra e spalmatela aiutandovi con una spatola. Mettete in forno già caldo e fate cuocere finché la pastella non si scurisce.
 

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